martedì 21 giugno 2011

Concetto di Anima, teorie dal mondo - 3, Il Buddismo



L'anima, intesa come qualcosa di eterno e immutabile, non esiste, 

perché tutto è impermanente e soggetto al cambiamento.

“Sorrise e levò lo sguardo a una foglia di pippala stagliata contro il cielo azzurro, la cui punta ondeggiava verso di lui come se lo chiamasse. Osservandola in profondità, Gautama vi distinse chiaramente la presenza del sole e delle stelle, perché senza sole e senza stelle quella foglia non sarebbe mai esistita.
E vide la terra, il tempo, lo spazio: tutti presenti nella foglia. In verità, in quel momento preciso, l’universo intero si manifestava nella foglia. La realtà della foglia era un miracolo stupefacente.
Vide che è l’esistenza di tutte le cose a rendere possibile l’esistenza di ciascuna cosa. L’uno contiene il tutto e il tutto è contenuto nell’uno. La foglia e il suo corpo erano una cosa sola. Nessuno dei due possedeva un sé permanente e separato, nessuno dei due poteva esistere indipendentemente dal resto dell’universo.
Vedendo la natura interdipendente di tutte le cose, Siddhartha ne vide perciò la natura vuota: tutte le cose sono vuote di un sé separato e isolato. Comprese che la chiave della liberazione sta nei due principi dell’interdipendenza e del non sé. Illuminando i fiumi delle percezioni, Siddhartha comprese che l’impermanenza e l’assenza di un sé sono le condizioni indispensabili alla vita. Senza impermanenza, senza mancanza di un sé, nulla potrebbe crescere ed evolversi. Se un chicco di riso non avesse la natura dell’impermanenza e del non sé, non potrebbe trasformarsi in una piantina. Se le nuvole non fossero prive di un sé e impermanenti , non potrebbero trasformarsi in pioggia.
Senza natura impermanente e priva di un sé, un bambino non potrebbe diventare un adulto.
Quindi accettare la vita significa accettare l’impermanenza e l’assenza di un sé.
La causa della sofferenza è la falsa nozione della permanenza di un sé separato. Vedendo ciò, Siddhartha giunse alla comprensione che non c’è nascita né morte, né creazione né distruzione, né uno né molti, né dentro né fuori, né grande né piccolo, né puro né impuro. Sono tutte false distinzioni create dall’intelletto.
Penetrando nella natura vuota delle cose, le barriere mentali vengono scavalcate e ci si libera dal ciclo della sofferenza.” 



(Buddhacarita, III, 22 – poema di Ashvaghosa del I sec. d.C.)


« Il brāhmana Dona vide il Buddha seduto sotto un albero e fu tanto colpito dall'aura consapevole e serena che emanava, nonché dallo splendore del suo aspetto, che gli chiese:
– Sei per caso un dio?
– No, brāhmana, non sono un dio.
– Allora sei un angelo?
– No davvero, brāhmana.
– Allora sei uno spirito?
– No, non sono uno spirito.
– Allora sei un essere umano?
– No, brahmana, io non sono un essere umano [...]
– [...] E allora, che cosa sei? [...]
– [...] Io sono sveglio. »
 

(Anguttara Nikāya - libro dei quattro - "Dona Sutta")


La dottrina del Non Sè



La filosofia buddhista, è quella dell'anatma (in pali anatta), ovverosia della convinzione che non esista nessun sé, né individuale né assoluto. Vediamo di dare qualche elemento in più oltre quelli già espressi.
Nella storia del pensiero, il buddhismo è stato forse il solo a negarne l'esistenza in modo tanto perentorio. Va detto subito però che anche su questo punto fervono da secoli aspre polemiche, in quanto c'è chi sostiene che il Buddha non sarebbe stato affatto chiaro su questo argomento ma che avrebbe spesso taciuto e altre volte detto mezze verità. Siamo d'accordo su questa interpretazione. Infatti non affrontare un discorso sull'anima non significa necessariamente volerne affermare l'inesistenza. Ma anche qui sarebbe interessante poter stabilire cosa avesse veramente inteso dire o tacere il Maestro e separarlo dalle interpretazioni dei suoi successori.
Ad ogni buon conto, per il buddhismo classico l'idea dell'atma è una credenza totalmente infondata e anzi pericolosa. Dal loro punto di vista ha, infatti, il potere di causare pericolosi dualismi interiori, scatenare l'idea dell'io e del mio, desideri egoistici e mai saziabili, orgoglio e impurità. Secondo loro, tutti i guai del mondo possono essere fatti risalire a questa falsa visione.


Qualcuno potrebbe chiedersi: come mai nel linguaggio del Buddha erano così tanto presenti i concetti riguardanti le persone e le cose, come se esistessero delle individualità?
La risposta è simile a quella che avrebbe dato Shankara, e cioè che esistono due tipi di verità: la verità convenzionale e la verità ultima. La prima è quella che si stabilisce per comodità di dialogo e serve per avvicinarsi a una verità superiore, mentre l'altra è la definitiva.Qualcuno potrebbe chiedersi: come mai nel linguaggio del Buddha erano così tanto presenti i concetti riguardanti le persone e le cose, come se esistessero delle individualità?
Non sono pochi, comunque, coloro che sostengono che il Buddha avrebbe ammesso l'esistenza di un sé e altrettanti quelli che dicono con certezza che, a riguardo di questo punto specifico, abbia intenzionalmente taciuto.



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